C'era una volta... Il Natale di quando ero bambina
Anche per me, da bambina (un milione di anni fa…), il Natale cominciava con l’Avvento. Niente grande attesa per i doni, però, anche perché a noi, da piccoli, i giocattoli li portava la Befana e li trovavamo la mattina del 6 gennaio ai piedi del letto. Probabilmente questa era un’usanza meridionale (la mia famiglia è abruzzese, poi trapiantata a Napoli), anche se non saprei dirlo con precisione.
L’atmosfera del Natale incominciava con la preparazione del presepe, compito di mio padre, che con carta e cartone creava su un piccolo tavolino un’intera montagna (a me sembrava grandissima!) e la popolava di casette, di laghetti e fiumi (di carta stagnola) e naturalmente di personaggi. Ricordo le ochette e le pecorelle, una contadinella seguita da una papera, un ciabattino seduto davanti al suo banchetto, un pastore con lo zufolo appoggiato a una staccionata, angolo sopra la grotta della Natività...
E c’era poi la tradizionale passeggiata nel parco di Capodimonte, una domenica mattina, per raccogliere il muschio con cui creare l’erba dei prati.
L’albero d Natale non era memorabile, ma era sempre vero (con le radici, anche se poi tutti gli anni finiva col morire…). I miei genitori lo facevano, ma non lo amavano molto: per loro, non faceva parte delle autentiche tradizioni natalizie. Invece ne facevano parte gli zampognari, che arrivavano ogni anno a Natale a Napoli e che le famiglie, compresa dal mia, invitavano a casa perché suonassero davanti al presepe.
La festa grande però cominciava quando si partiva per la casa dei nonni, in Abruzzo, dove si riuniva tutta la famiglia. Lì noi bambini diventavamo una vera banda e ci divertivamo un mondo. Se eravamo troppi, ci mettevano a dormire in due in un letto, uno a capo e l’altro ai piedi, e allora il divertimento era doppio! Lì poi trovavamo i cugini del ramo della famiglia rimasto in Abruzzo.
E poi, ricordo il senso di libertà di quei giorni: il paese allora non era grande e quindi a partire da una certa età (ma piuttosto presto) avevamo il permesso di andare in giro da soli, scorazzando dalla casa di uno zio a quella di un altro, cosa che a Napoli era assolutamente proibita!
La casa dei nonni era grande ma fredda, e durante il giorno si stava tutti insieme nella cucina, dove c’era una stufa economica a legna, di quelle con il piano di ghisa con tanti anelli che si potevano togliere per far posto alle pentole. Ricordo il brivido di quando ci sia alzava, la stufetta per riscaldare il bagno quando bisognava lavarsi, la colazione con il latte con un dito di panna (che non mi piaceva)…
In cucina nascevano i dolci che non potevano mancare alla nostra tavola di Natale. No, niente pandoro e panettone: erano la pizza con le noci e le ferratelle ripiene. Li faceva la nonna con l’aiuto di mia madre, che però l’aiutava solo nella “bassa manovalanza”: rompere le noci, tritarle, mescolare… Il dolce era un capolavoro di mia nonna.
Quando lei è mancata, mia madre ha continuato a farlo da sola, ma non riusciva a stendere la pasta sottile come la nonna e l’attrezzo per le ferratelle sul gas di casa non si arroventava bene. Insomma, qualcosa si era perso!
La festa cominciava la sera della vigilia, con la cena a base di pesce. A casa mia era una cena ricca, ma non opulenta come quella della tradizione napoletana. A mezzanotte si metteva il bambinello nella sua culla, nel presepe (allestito anche a casa dei nonni, anche se in forma ridotta rispetto al nostra) e si diceva una preghiera. La famiglia si riuniva interamente il giorno di Natale: era quella la festa grande.
Naturalmente la mattina si andava a messa tutti insieme. Poi, le mamme correvano a preparare il pranzo in cui, oltre ai dolci della nonna, non potevano mancare i cappelletti della zia Maria, piccolissimi e fatti a mano a uno a uno anche con l’aiuto dello zio (e più tardi, quando abbiamo cominciato a essere un po’ più grandicelle, anche di me e di mia cugina… che a dire il vero non apprezzavamo molto l’incarico!).
Il clou del pranzo era l’immancabile poesia di Natale, prima del dolce. Ogni nipote, a turno, diceva la sua, in piedi su una sedia, con l’applauso finale di rito. Da piccoli eravamo fierissimi di questo momento tutto nostro; crescendo, ricordo l’imbarazzo, le risatine di noi cugini, finché la tradizione si è persa… Quanta fretta si ha di crescere, a un a certa età, e come si rimpiange d essere cresciuti troppo in fretta, dopo!
Dopo il pranzo e i dolci, non potevano mancare i giochi: la tombola (con i fagioli per segnare le caselle), il mercante in fiera, oppure semplici giochi con le carte (rubamazzo, asso pigliatutto).
Per l’occasione, ed eccezionalmente, noi bambini beneficiavamo anche di una distribuzione di monetine, in modo che ognuno di noi potesse avere il suo tesoretto da spendere. Anzi, ricordo che nei giorni prima del Natale mia madre e le mie zie cercavano di tenere da parte degli spiccioli appositamente per i giochi, in modo da poter dare a ognuno di noi la stessa cifra!
Annalisa Pomilio
Ho 56 anni, vivo a Milano e ho sempre lavorato insieme ai bambini: come mamma, insegnante, giornalista, redattrice e autrice di libri per bambini.
Qualche anno fa ho creato il blog Noi nonni, un luogo in cui incontrarsi e parlare, trovate idee, materiali e proposte per stare insieme ai bambini, lavoretti, ricette, giochi, consigli per affiancare con amore la loro crescita.