Favola - Il condominio di via degli Aceri (parte 2)

Venerdì 11 Aprile 2014

Continuano le avventure de "il condiminio di via degli Aceri"

L’altro giorno la ghiandaia si è posata sul pero del giardino tutta emozionata per le notizie straordinarie che era riuscita a sapere. Subito Zelda, che sta sempre di guardia sulla soglia della veranda, le è corsa incontro chiamando Laika perché venisse a sentire anche lei. Sentendo i richiami di Zelda mi sono affacciata dal tetto e, vista quella chiacchierona della ghiandaia, sono scesa anche io.

Arrivò brontolando Laika: "che succede?"

"Vieni, vieni…!!" chiamava Zelda tutta eccitata. Io mi ero appostata sul muro confinante con i garage, per non innervosire la ghiandaia, già abbastanza nervosa di suo.

"Eccomi, ma si può sapere cosa accade?" diceva Laika mentre muoveva la testa a destra e sinistra per poter capire da che parte ci trovavamo noialtri.

"La ghiandaia deve raccontarci qualcosa, su avanti, parla!!" pregò Zelda, che non stava più nella pelle.

"No, davanti a lei non dico nulla!" disse la ghiandaia, che mi aveva adocchiato, anche se io stavo facendo la faccia più innocente del mondo e stavo ostentando indifferenza leccandomi le zampe.

"Ma è un’amica, garantisco io" mi difese Laika, che forse non sapeva esattamente che io fossi un gatto. Zelda fece un’espressione strana: non amava particolarmente i gatti ma io le ero simpatica, forse proprio perché piacevo alla sorella. Comunque io ormai facevo l’offesa e me ne andai a coda alta, ripromettendomi di tornare più tardi ad ascoltare il resoconto di Laika. Cosa che puntualmente avvenne.

Scesa la sera, infatti, entrai nel giardino. Come al solito Zelda fu la prima a venirmi incontro e come al solito chiamò Laika invitandola a raggiungerla. Come ormai era consuetudine la sera ci riunivamo a spettegolare dei fatti del condominio, del vicolo o del quartiere, traendone delle conclusioni a volte amare, a volte sagge.

Laika arrivò brontolando. Io mi accoccolai sul dondolo e Laika si acciambellò ai miei piedi, cedendo, con questo gesto, la parola a Zelda. Quando ci vide sistemate e pronte ad ascoltare, Zelda, che moriva dalla voglia di riferirmi tutte le chiacchiere della ghiandaia, con le orecchie dritte, la coda a ciuffetto fremente, non riusciva a stare ferma e gesticolava e camminava ruotando su se stessa; cominciò a raccontare accalorandosi sempre più col procedere del racconto: "Insomma, pare che il riserbo della ghiandaia fosse dovuto al fatto che il pettegolezzo riguarda un gatto, e temeva che tu, per il risentimento, te la mangiassi."

"Figurarsi, come se io mangiassi qualcosa che non esce da una scatoletta!" ribattei disgustata all’idea di mangiare qualcosa di vivo "Ma di chi si tratta esattamente?"

"Di Pepe, il bullo del vicolo"

Conoscevamo bene tutte e tre Pepe. Era il gatto di una famiglia molto numerosa che abitava nel condominio accanto. Noi del numero 26 godevamo di un certo rispetto nel quartiere perché il nostro condominio, per quanto vecchiotto, era ben tenuto, e conservava, negli anni, un non so ché di signorile, di dignitoso. Il condominio al di là del vicolo, invece, era uno di quei casermoni di cemento anni ’80, tutto terrazzi, antenne, lavatrici e panni stesi, di motorini nell’atrio e di bambini urlanti per strada. Da quelle finestre non si affacciava neanche un fiore, da quelle tende non ci si aspettava più ormai, nessun ricordo di colore.

Pepe doveva il suo nome al colore del suo pelo, grigio puntinato di nero, ed al suo carattere dispettoso. Era arrogante, convinto di essere molto intelligente ed erudito solo perché aveva qualche volta passeggiato sugli scaffali del suo padrone di casa, che studiava ingegneria, vanitoso e con arie da supermacho. In realtà non lo sopportava nessuno, ma se non lo salutavi metteva il muso ed aveva un modo di fare talmente ansioso ed esagitato che eravamo più preoccupati che gli venisse un colpo se non gli avessimo dato ascolto, che altro.

L’ho conosciuto un giorno che ero nel vicolo a conversare con gli altri gatti e lui se ne stava in disparte facendo l’offeso. Lo invitai ad unirsi a noi. Lui subito gonfiò il petto con aria felice, si avvicinò ai gatti in circolo al grido di “Forza, squadra, diamoci da fare”, poi si voltò verso di me e mi chiese, con aria che voleva essere furba, se volevo far parte del gruppo.

Provai subito antipatia per questo suo modo di fare, ma la cosa si acuì quando, in una calda notte d’estate, mentre io prendevo il fresco per i fatti miei, si avvicinò con passi felpati, atteggiandosi a bel tenebroso, ignorando forse che una delle caratteristiche della sua razza è un evidente strabismo, si sedette accanto a me ed iniziò a vantarsi delle sue avventure amorose, della sua vasta esperienza in fatto di gatte, di come le gatte, povere stupide, gli cadessero letteralmente ai piedi e di quanto lui fosse dotato. Finito l’elenco delle sue virtù mi disse che gli piacevo e all’improvviso mi circondò le spalle con la coda ed avvicinando i suoi baffi ai miei mi sussurrò: "Baciami, so che lo vuoi anche tu".

Ho sempre odiato i vanitosi e gli stupidi, figuriamoci quanto ami i gatti che presentano entrambe le caratteristiche. Una sera, stanca di parlare sempre di cose senza nessuna profondità, provai a parlargli di poesie, e gli recitai la poesia preferita della mia padrona di casa, in francese. Lui mi rispose: "Io non parlo il francese, io parlo come mangio" e tornò a cacciare topi nel vicolo.


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Francesca Tantalo

Sono una strega con un brutto carattere. Di quelle delle favole, coi calzini a righe e il vestito nero, gli occhiali sulla punta del naso e i capelli sempre in disordine. E' vero? Forse, ma sono soprattutto una naturalista disoccupata, un'impiegata part time, una mamma full time e, semplicemente, una donna.

Scrivo per la rubrica di cucina per bambini nel blog Oasi delle Mamme, ho due stupendi frugoletti, un compagno comprensivo, un giardino enorme, mille sogni nel cassetto e un'enorme passione per la nostra stupenda Madre Terra