Problem solving e organizzazione: riparto da me.
Sono tornata ieri sera, esausta ma felice da 2 giorni di formazione presso l’organizzatissima e professionale Performance Strategies. 2 giorni con 2 formatori d’eccezione Giorgio Nardone (che ci ha parlato di problem solving – identificare il problema per trovare una soluzione) e David Allen (che invece ha parlato di organizzazione, ideatore del metodo GTD, ha cambiato la vita di milioni di persone in tutto il mondo).
Questa occasione mi è stata offerta da Alessandro Giuliani e dalla Leotron la meravigliosa realtà per cui collaboro. Trovare qualcuno che crede abbastanza in te da investire nella tua formazione è una cosa rara e bellissima, non so se potrò mai trovare le parole per dire quanto io sia grata di tutto questo. Condividerla poi con persone come Alessandro e Silvia Signoretti ha trasformato quest'esperienza da meravigliosa a indimenticabile.
Non vi voglio parlare di formazione e metodi: lo farei in modo altamente superficiale e poco calzante, riassumere in poche righe quello che ci hanno trasmesso Giorgio Nardone e David Allen va oltre le mie capacità, nei libri potete trovare tutto quello che vi può servire. Ma vi voglio dire quello che queste 2 giornate hanno significato per me.
Quando Giorgio Nardone dopo qualche ora di spiegazioni ha accennato un “dopo vorrei ci fosse un volontario dal pubblico per una dimostrazione pratica”, a me si è accesa una lampadina, il cuore ha iniziato a battermi forte, mi sono sentita le mani appiccicose e sudaticce e ho pensato “voglio essere io”. Io sono quella che si emoziona a parlare davanti a 5 persone, quindi non avevo idea che avrei alzato davvero la mano finché non lo ho fatto, per prima. Avevo la possibilità di raccontare (davanti a quelli che poi ho scoperto essere 450 persone) quali sono i problemi logistici e organizzativi che mi angustiano.
Provate ad immaginare: sono a casa davanti al PC intenta a fare A, perché A, in quel momento, è la cosa più importante. Mentre batto felice le lettere sulla tastiera, una vocina nella mia testa dice “ciao sono B. Mica ti sei dimenticata di me?” B. è una mail di spedire. Ci metto 5 minuti, mi dico, parcheggio A e mi metto a scrivere a B. Solo che aprendo la casella di posta mi accorgo che ci sono altre mail C e D che pretendono di non venire ignorate. Non posso assolutamente, tutto sommato sono già li, quindi passo mezz’ora a sistemare, spedire e rispondere a mail. Con la mente però ritorno sempre ad A che era piuttosto urgente; ma mai quanto la lavatrice da svuotare, altrimenti il bucato poi puzza.
Mentre sono impegnata a stendere, mi preoccupo per A, immagino le possibili risposte che potrebbero arrivarmi da B e penso a cosa scrivere a F che nel frattempo mi ha contattato via Skype. So che da qualche parte ci dovrebbe essere una E solo che non ricordo minimamente cosa riguardava e perché.
Tutto sarebbe più o meno sotto controllo se non fosse che la mia mente inizia a urlare “Questa mattina non hai chiamato la pediatra. Era urgente, urgentissimo e ora cosa succede?” Obiettivamente non posso farci nulla la pediatra risponde solo di mattina, ora è pomeriggio. E’ un problema che posso risolvere domani, solo che come una nebbia, il pensiero della chiamata mancata ha offuscato tutta la mia mente: riesco a pensare solo a quello e al fatto che non posso risolvere questo problema.
Nel frattempo ho risposto frettolosamente a F. Le ho dato un incarico ma senza essere chiara (d’altra parte io sto pensando ad altro) e quindi non ho la minima idea se ha capito cosa deve fare, per quando né, tra l’altro, se lo farà oppure no. So già che questo sarà un problema che mi tormenterà domani.
Giorgio Nardone, dopo aver ascoltato una versione Bignami della mia giornata, mi fa: “l’impressione che mi dai è che cerchi di tenere in equilibrio una serie di pacchi che traballano nelle tue mani. Non puoi, devi perderne qualcuno per strada per poi recuperarlo”. All’inizio non ho capito molto bene: i pacchi li sto già perdendo tutti per strada. E’ quello il problema. Mi ha rispedito al mio posto dicendomi di scrivergli una mail tra qualche settimana per raccontargli come stava andando.
Da quel momento sono diventata la ragazza dei pacchi. Ovunque mi girassi c’erano persone pronte a darmi consigli (grazie ma sono già abbastanza confusa di mio), a farmi i complimenti “sei stata bravissima ad offrirti volontaria”, gente che mi guardava malissimo: volevano salire loro al mio posto, gente che mi ha espresso profonda solidarietà “sono nella tua stessa situazione” e gente che voleva sapere come stava andando con i miei pacchi. E questi erano la maggioranza.
Dopo un po’ ho cominciato a rispondere che i miei pacchi li avevo chiusi tutti nell’armadio e che li avrei tirati fuori solo il lunedì seguente. Era una battuta. Credevo. Quello di cui non mi ero resa conto invece era che il processo di cambiamento era già in atto. Non stavo pensando a telefonate da fare, appuntamenti mancati, pediatra, visite, articoli di scrivere. Non mi stavo nemmeno angustiando per il saggio di ginnastica di Samuel che mi ero persa (non potevo farci nulla e la cosa era fuori dal mio controllo) stavo vivendo il “qui e ora”.
Questa mattina, quando finalmente è giunta l’ora di tirare fuori i miei pacchi dall’armadio mi sono accorta che mi facevano meno paura: li avevo affrontati, erano più leggeri. Spesso le forme non combaciano quindi non posso pretendere di portarli tutti insieme.
Seguendo gli insegnamenti di David Allen ho organizzato la mia scrivania, ho estratto i mille fogli nascosti in un cassetto (non vi vedo quindi non mi fate paura) e li ho sistemati diligentemente dentro le cartelle “da fare”, “da contattare”, “idee da sviluppare” “in attesa si info”... C’è anche la cartella “fuori dal mio controllo” li ho in mente di mettere tutte quelle cose inutili che mi occupano la mente. Se le scrivo non si sentiranno abbandonate e il fatto che ho sbagliato qualcosa mi servirà da monito. Ma non voglio riempirla troppo quella cartella: mi piace pensare che per tutto c’è una soluzione.
Mi sono ripromessa di vivere nel presente. Posso fare progetti per il mio futuro ma preoccuparmi per la pensione non ha nessun senso. Neanche pensare che a scuola avrei potuto impegnarmi di più. Ho capito che abbandonare un pacco non significa calpestarlo prenderlo a calci e negare la sua dignità, significa solo dire “in questo momenti la mia attenzione è tutta concentrata su A, quando andrò da B, sarà lui ad assorbire tutte le mie energie”.
Ho una serie di fogli bianchi in un cassettino, ho distrutto i 4.796 quadernetti che mi ostinavo a tenere, ognuno con qualche informazione importante nascosta in mezzo a meteore passeggiare di pensieri senza una logica: i fogli posso inserirli nelle cartelle giuste.
Ho capito che se voglio aiuto a portare un pacco devo chiedere e insegnare dove deve andare e per quando.
Ho capito che non devo aver paura ad ammettere i miei limiti.
La strada è lunga, ma mi piace pensare che almeno ho capito quale sia la direzione.
Stefania D'Elia
Sono mamma di 2 bambini di 5 e 3 (quasi) anni. Sono stata per anni un’impiegata, poi un licenziamento e la mia vita è cambiata.
Ho scelto di cavalcare gli eventi e ho iniziato a scrivere; di me, di noi, delle mamme. Ho gestito per mesi un magazine on-line, ho un blog personale e scrivo articoli che parlano di donne e famiglia su www.trentoblog.it e ora sono alla ricerca di nuove sfide.