Racconti in sala parto: la nascita di Gaia
Con la pancia che mi accompagnava negli ultimi giorni di gravidanza avrei potuto tranquillamente essere scritturata come controfigura della signora Jumbo nella trasposizione in carne ed ossa della favola di Dumbo. D'altra parte, come la signora Jumbo, pure io, alla data prefissata per la consegna del mio pacco mi sono ritrovata con il naso rivolto all'insù chiedendomi per quale (fottutissimo) motivo tutti avevano il loro cucciolo da coccolare mentre io avevo solo una pancia enorme da portare a passeggio.
Dov'era finita la mia cicogna?
Dove era stato smarrito il mio pacco?
Perché Gaia, come Dumbo, si stava facendo aspettare? Fortunatamente, alla fine, non mi è stata consegnata con un pacchetto e una ricevuta mentre stavo seduta su un treno merci. (difficile, anche perché di solito prediligo altri mezzi di locomozione) ma mi è stata consegnata da una giovane ostetrica dai capelli scuri nel reparto ospedaliero di Trento. Con 10 giorni di ritardo rispetto dalla data di consegna scritta in bolla nel momento della partenza.
Ma andiamo con ordine.
La mattina di una frizzante giornata di giugno, mio marito ha accompagnato me e la mia pachidermica mole all'ospedale: era arrivato il momento tanto atteso. Se, mia figlia non aveva intenzione di nascere per i fatti suoi, ci avrebbero pensato degli aitanti dottori a convincerla a intraprendere il suo viaggio al di fuori dell'utero materno.
Ecco, ogni mamma per 9 mesi cerca di prepararsi alla nascita del proprio figlio, e se da una parte è vero che 9 mesi sono un tempo relativamente breve per entrare nell'ottica di essere genitori, per accettare che la tua vita sta per cambiare, per comprare tutte quelle cose che, guardando pubblicità e ascoltando i commessi dei negozi per la prima infanzia, sono assolutamente indispensabili; dall'altra parte sono un tempo estremamente lungo in cui riesci a immaginare tutte le fasi del tuo travaglio.
Ecco, nel film che era stato girato nei 9 mesi di gravidanza, la nascita di mia figlia sarebbe dovuta andare più o meno così:
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a un paio di settimane dal termine prestabilito, avrei iniziato a sentire delle leggere contrazioni nel baso ventre;
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dopo una passeggiata e una chiacchierata con le amiche, le contrazioni avrebbero dovuto aumentare di intensità, preannunciando che il momento della nascita era ormai prossimo;
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mentre preparavo "con tutta calma" un bel bagno rilassante, avrei chiamato mio marito per avvertirlo di venire presto a casa, che, entro qualche ora, avremo dovuto essere in ospedale per dare il benvenuto alla nostra bambina;
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il bagno rilassante lo avrei fatto fare a mio marito che, appena ricevuta la chiamata si sarebbe precipitato in casa in evidente stato confusionale;
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dopo che l'autocontrollo di L. fosse tornato al suo posto saremmo andati in ospedale, dove, delle ostetriche colpite si sarebbero complimentate con me per la mia calma e la mia resistenza al dolore;
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dopo una rapida visita sarei stata informata che ero quasi completamente dilatata, mancavano un paio di cm e avrei potuto iniziare a spingere;
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circa una mezz'ora più tardi avrei abbracciato mia figlia, mentre i dottori intorno a me, ammiravano estasiati il piccolo essere perfetto che avevo appena portato nel mondo.
Un piano semplice, in 8 punti, che, mia figlia non si era data la pena di imparare; così 10 giorni dopo il termine, invece che avere una bimba di un paio di settimane in braccio, avevo una pancia enorme da portare a passeggio e caviglie talmente grosse che i piedi sembravano attaccati li per caso.
Da li avrei dovuto apprendere il primo importante insegnamento: non fare programmi con una figlia femmina, lei si è di sicuro già fatta i suoi.
Non avendo avuto il (dis)piacere di un parto con taglio cesareo, posso assicurare che il parto con induzione è quanto di peggio possa capitare a una donna. Un attimo prima sei li, chiacchieri e stai relativamente bene, (talmente bene che, alle 22.00 - dopo una sommaria visita delle ostetriche in cui risulta che nulla si sta ancora muovendo - decidi di permettere a tuo marito, il futuro papà, di tornarsene tranquillo a farsi una notte di sonno a casa, che tanto, per la nascita, ci si sarebbe rivisti l'indomani). un attimo dopo vaghi per i corridoi bui e deserti, in preda a dolori vagamente sopportabili ma che ti impediscono di stare sdraiata nel letto a riposare.
Il personale ospedaliero, dopo aver deciso che il mio incedere traballante per i corridoi avrebbe potuto turbare i sonni delle mie compagne di avventura, avvinghiate ai loro cuccioli già nati nel letto, hanno pensato di mandarmi nella stanza travaglio, li avrei potuto tranquillamente vagabondare senza disturbare nessuno.
Nel silenzio ovattato della stanza ci ho messo un po' a trovare la mia posizione ideale, rannicchiata per terra, appoggiata a un cuscino con le braccia incrociate sopra una sedia.
Stavo talmente bene, che passato qualche minuto mi sono sorpresa a fare brevi deliranti sogni. A un certo punto, il sogno è stato interrotto da un gavettone dentro la mia pancia che si era rotto, un rumore secco come di un elastico che si spezza e mi sono ritrovata seduta su un pavimento tutto ricoperto di un liquido sporco.
Preoccupata di quello che avrebbero pensato le ostetriche, vedendo tutta quella confusione, sono andata nel bagno a prendere un rotolo di carta per pulire, operazione che sarebbe stata decisamente più facile se la pancia non mi avesse fatto tanto male da piegarmi in 2 ad ogni passo e se la testa avesse smesso di ronzarmi.
Se mi rendevo conto che ero in pieno travaglio? La parte cosciente del mio cervello era stata messa a tacere dalla parte delirante che mi urlava di andare subito a mettermi dei vestiti puliti e di prendere qualcosa anche per Gaia: stava per nascere e io non avevo neanche preso dalla borsa la sua prima tutina. Tra tutti i momenti utili la voce di mia madre che mi diceva che ero impresentabile si era fatta viva in quel frangente! E si che era dai tempi della seconda media che non ascoltavo nessuno in fatto di abbigliamento.
Chiusa nel bagno della mia stanza, tra una lama incandescente che mi attraversava le viscere e l'altra, mi ostinavo a svuotare la valigia, alla ricerca di qualcosa di adatto alla situazione.
Mentre sragionavo sul perché i sobri mutandoni neri che mettevo ormai da qualche mese mi sembrassero di colpo non adatti al momento, 2 ostetriche, richiamate dalla mia preoccupata compagna di stanza, mi invitarono gentilmente ad uscire e tornare con loro nella stanza preparto per una visita.
Convincere una donna in pieno delirio da travaglio deve essere un po' come patteggiare con un aspirante suicida, così, con voce suadente e calma, hanno cercato di convincermi che, nonostante le mutande non adatte, era il caso di girare la chiave e uscire da quel bagno.
Mia figlia era in viaggio, stavo per partorire... Nessun punto della lista era stato rispettato, non solo le ostetriche non si erano complimentate con me per il mio sangue freddo, ma anzi stavo per entrare nella leggenda come la non ancora partoriente più rognosa della storia.
Avevo male in posti che non pensavo nemmeno esistessero, L. era stato appena buttato giù dal letto da una mia vaneggiante chiamata, e mi sentivo sporca e sudata come mai prima.
L. è arrivato giusto in tempo per sentirmi supplicare le infermiere presenti di farmi passare il male. A dispetto dell'amore materno che dovrebbe essere superiore a tutto in quel momento, ero pronta a barattare mia figlia con una dose di antidolorifico. Fortunatamente nessuno mi ha presa sul serio.
Quando ho detto alle ostetriche, se potevano un attimo spegnere il dolore perché io avevo urgente bisogno di andare in bagno, mi hanno risposto che, no, non era quello, era invece arrivato il momento di spingere. Mia figlia stava per nascere, stavo per diventare mamma, e il mio primo pensiero è stato “spero non me la mettano sulla pancia, altrimenti la butto per terra”.
Mentre spingevo e mi dicevo che, mai avrei potuto soffrire di più, l'ostetrica più giovane con un bisturi ha tagliato quello che nella mia testa mai dovrebbe essere tagliato. Ho urlato, e dopo un attimo una testa piena di capelli neri è uscita.
In un secondo tutto si è fermato, il dolore, la paura la stanchezza, un piccolo fagotto rosso rosso dallo sforzo ha rubato il posto a tutto il resto. Ricordo un gran silenzio, rotto dai miei singhiozzi e dai primi lenti respiri di mia figlia.
Stefania D'Elia
Sono mamma di 2 bambini di 5 e 3 (quasi) anni. Sono stata per anni un’impiegata, poi un licenziamento e la mia vita è cambiata.
Ho scelto di cavalcare gli eventi e ho iniziato a scrivere; di me, di noi, delle mamme. Ho gestito per mesi un magazine on-line, ho un blog personale e scrivo articoli che parlano di donne e famiglia su www.trentoblog.it e ora sono alla ricerca di nuove sfide.