Da quando Stefania mi ha affidato l’incarico di intervistatrice ufficiale di blogger su BBMag questa, non me ne vogliano le altre che ho fatto, è senza ombra di dubbio quella che mi ha emozionato di più.
Non ho intervistato una blogger ma ho posto le mie domande a Caterina Ceccuti, la mamma di Sofia. Molte di voi l’avranno sicuramente conosciuta tramite Le Iene e la battaglia che sta combattendo per poter curare la sua bambina con le cure compassionevoli e alcune di voi, le più fortunate, la conoscono anche personalmente.
Io per ora le ho parlato solo al telefono e l’ho conosciuta attraverso il libro che ha scritto ma spero venga presto il giorno in cui io possa incontrarla e abbracciarla forte... questa piccola grande donna.
Non mi voglio più dilungare e quindi vi lascio con le mie domande, se vogliamo anche banali e le sue risposte invece, che, secondo me, toccano l’anima.
La mia chiacchierata con Caterina è iniziata e proseguita così:
Ciao Caterina, vorrei con questa intervista farti delle domande che non risultino banali. Mi rendo però conto che la cosa non è facile visto il tema delicato che affrontiamo. Comunque, vedrò di impegnarmi al meglio affinchè la tua storia abbia voce e in tanti possano sentirla e condividerla. Cominciamo!
La tua storia ha un inizio, come tutte le storie, molto normale, anzi forse no. Incomincia da un incontro avvenuto per caso in centro a Firenze con un ragazzo, Guido o Guidus, come ormai lo chiamo anche io quando penso a voi. Un vero e proprio colpo di fulmine vero?
In un certo senso sì. Ma non posso dire che mi sia bastato vedere Guidus per strada per perdere propriamente la testa. M’intrigava tantissimo questo sì. Non ne capivo il motivo ma da subito sentivo la smania di conoscerlo meglio.
Era un tipo speciale, spiccava tra la folla e mi incuriosiva. Luminoso, il sorriso semplice. Aveva l’apparenza di un fascio di grano al sole.
Dentro, più tardi l’ho capito, era una cosa completamente diversa. Una personalità intensa, per certi aspetti controversa, che non lascia indifferenti. Guido è uno che sorprende continuamente e che affascina. Più è il tempo che lo si conosce, più piace. Potrei dire che di Guido non mi sia mai innamorata -nel senso delle vampate sulle guance o delle farfalle nello stomaco-, piuttosto l’ho amato direttamente, col tempo.
Dal giorno dell’incontro alla consapevolezza che eravate l’uno per l’altro l’altra metà della mela il passo è stato naturale. Avete cominciato a formare una famiglia tu e lui … Ricordi la spensieratezza e la felicità di quei momenti?
Io sono sempre stata fin troppo spensierata al riguardo. Mi sentivo amata, da Guido ma anche dal destino. Credevo di essere inattaccabile. Credevo che la malasorte non potesse mai diventare cosa mia. Questo entusiasmo ha sempre divertito Guido. Da me gli piaceva lasciarsi contagiare, spronare verso situazioni ed emozioni sempre nuove.
In coscienza però paventava anche ipotesi meno festose per la nostra vita, nel senso che considerava il dolore una possibilità come un’altra, un qualcosa di democratico che può colpire chiunque come pure fa la gioia. Lui ne aveva vissute, le aveva viste vivere ad altri. Io invece ero digiuna alla sofferenza vera prima della malattia di Sofia.
Poi arriva il 2009, un anno favoloso perché vi ha visti diventare mamma tu, e papà Guidus, di Sofia. Che gravidanza hai avuto?
Perfetta. Mai una nausea, mai un problema. Sofia dormiva la notte e di giorno si muoveva dolcemente. Ricordo che stiracchiava un piedino sulle mie costole.
Cosa sognavi e come vi siete preparati all’arrivo della bimba tu e Guido?
Il nostro era un appartamento suggestivo, deliziosamente fiorentino nelle travi al soffitto, nel cotto sul pavimento e nel panorama fuori dalla finestra che era una buona parte del cupolone di Brunelleschi. In tutto appena 60 metri quadri. La stanza destinata a Sofia era piccola e molto luminosa. Appena saputo che si trattava di una bimba Guido ha cominciato a pitturare le pareti di rosa, incorniciando il profilo della tinta con una listarella di stucco bianco e uno stencil fiorito color violetto.
Io avevo sempre desiderato una femmina, ma non sapevo ancora bene come rivolgermi a lei. Non me la sapevo immaginare. Allora le parlavo in maniera maldestra e preferivo cantarle le canzoni a me care… è così che la piccola Sofia è stata indottrinata a De Gregori e De Andrè prima ancora di nascere
Ad agosto 2009 è arrivata lei, Sofia, uno scricciolino di meraviglia. Tra voi è stato, come sempre tra mamma e figlio, amore a prima vista. Come sono stati i vostri primi 20 mesi insieme?
Abbiamo avuto alcune difficoltà, classiche e condivise da molti genitori: nottate in bianco, dopo lo svezzamento qualche bizza per la carne tagliata a pezzettini che non reggeva il confronto con un buon piatto di spaghetti ecc…
Ma stavamo sempre insieme. Giorno e notte. Sofia non dormiva spesso nel lettone, però sonnecchiava nel lettino con le ruote che la sera trainavamo in camera con noi. Di giorno stavo con lei. Non avevo voglia di fare altro, anche se non ho mai smesso di lavorare. Mi ritengo fortunata perché ho potuto lavorare da casa, sbrigando la maggior parte delle cose la sera quando la bimba era già a letto.
Più avanti, sono tornata in ufficio qualche ora nel pomeriggio. Per il resto la nostra vita insieme era uscire in bicicletta per andare ai giardini, fermarci al ritorno a comprare il pane per Guidus e la schiacciata per lei, un po’ di spesa con Sofia che buttava giù tutto dagli scaffali.
Il pomeriggio di nuovo a spasso per il centro a cercare le carrozze coi cavalli e a mangiarci un gelato. Oppure a casa con qualche amico delle sue stesse dimensioni, o da sole a leggere i nostri libri con le finestrelle per ore.
Poi è arrivato il giorno in cui avete notato che qualcosa non andava come avrebbe dovuto. E da lì è stato solo un peggiorando fino ad arrivare al tragico verdetto. Come hai fatto, Caterina, con i tuoi 30 anni scarsi, con le tue ambizioni di mamma, con i tuoi sogni e speranze, a riuscire a mettere a fuoco quella spietata verità?
Mi dissero così “Sua figlia ha la leucodistrofia metacromatica. È una malattia neurodegenerativa. Entro sei mesi perderà tutte le funzioni motorie e cognitive. Poi, entro pochi anni morirà. Attualmente non esiste nessuna cura, di alcun tipo né farmacologica né genica. Però non dovete pensare che la vostra vita di coppia sia finita perché- ora che abbiamo individuato l’errore genetico- esiste l’analisi prenatale”. Come prima reazione mi sono sentita svenire all’idea che di li a poco non avrei più potuto vederla fare le cose.
Soprattutto assistere allo spettacolo del suo sorriso, che non si può capire se non lo si è visto. E’ come assistere alla nascita, vedere l’alba. Poi ho voluto riprendermi nel minor tempo possibile. Mi son detta “Sofia mi aspetta a casa. Non sa nulla di quanto le hanno diagnosticato. Quando è nata le ho promesso che mi sarei impegnata al massimo perché ogni giorno della nostra vita insieme avesse almeno una cosa speciale da ricordare. Ora devo mantenere la promessa”.
In quale momento preciso hai deciso di raccontare la tua storia e non tenerla solo più per voi? Come è nato Voa, Voa!?
Voa Voa! è nato quasi subito. Lei si è ammalata a fine aprile, io ho iniziato a scriverlo all’inizio di settembre. Avvertivo la necessità di non dimenticarmi Sofia, i suoi modi, l’incanto delle sue espressioni.
Avevo paura di abituarmi alla malattia, di cederle il passo. Malattia e morte al posto della vita. In qualche modo volevo immortalare la sua bellezza. Mi dissero che Sofia era una “bambina farfalla”, di quelle che nascono e muoiono subito. Di quelle che durano una stagione sola.
Riferendosi ad una persona in questi termini le si sta dicendo, praticamente, che il suo passaggio non lascerà alcuna traccia nel mondo. Questo mi ha sempre fatto imbestialire. Solo chi non conosce Sofia può pensarla così.
Sofia fa miracoli tutti i giorni. Anche adesso che è malata. Col libro dedicato a lei ho semplicemente cercato di farla conoscere.
Tu e Guido siete due persone sorrette da una fede incrollabile (tu la definisci imperfetta, io la definisco invidiabile) mentre mettevi nero su bianco le tue paure, le vostre angosce e la sofferenza di Sofia ti sentivi sorretta da Qualcuno di più grande di noi o lo hai scritto per dar voce alla vostra disperazione?
Quando l’ho scritto la mia fede aveva una consistenza ed un indirizzo profondamente diversi da ora. La quantità in me è la stessa, ma la forma e la sostanza sono cambiate.
Quando ho scritto Voa Voa! sentivo che qualcuno lo voleva e mi stava guidando la mano. Ma non si trattava di Dio, era Sofia. Dio mi ha sorretto, in tutti questi mesi spietati è stato come un abbraccio che mi ha impedito di abbattermi a terra come un cencio senza vita.
Parlaci di Sofia, cosa ti ha insegnato la vita insieme a lei e che donna meravigliosa sei diventata dopo e grazie a lei…
Di meraviglioso non credo ci sia molto. Guido dice sempre che il dolore ci ha fatto diventare migliori, ci ha “pulito l’anima” in un certo senso. Secondo me non è così.
Personalmente mi piacevo molto più prima, fiduciosa in ogni cosa e piena di tutto: allegria, forza d’animo, serenità ai giardini o pedalando in bicicletta, con Sofia sul seggiolino davanti a braccia e bocca spalancate che gridava “Voa Voa!”.
La felicità nella mia vita è rimasta in un tempo e in uno spazio precisi, nel gennaio del 2011, dietro il cancellino in legno che separava Sofia dalle scale.
Mia figlia in piedi con le mani tese a me, quando tornavo dal lavoro, appena tre ore e già mi mancava da morire. Quella di adesso è una donna diversa.
Non rabbiosa, questo no, non mi piace presentare a Dio la mia rabbia. Ma neanche Gli concedo la completa rassegnazione ad un piano per Sofia che non so condividere.
Ci sono il dolore, la nostalgia, la gratitudine nei giorni in cui la vedo stare meglio. Prendo tutte queste cose e Gliele offro. Le metto ai piedi della Sua Croce.
Poi guardo Sofia e penso che ho ancora molto da perdere, e non lo voglio perdere. E devo chiedere a Dio di non perderlo mai perchè “c’è solo un mondo peggiore di quello in cui sei malata Signorina Cattivoni. E’ il mondo in cui non ci sei più”.
Cosa ti aspetti e cosa pensi che riuscirete ad ottenere dalla vostra battaglia? Sei fiduciosa?
Non so cosa aspettarmi. Ho paura al pensiero di aprirmi alla speranza. Non voglio sperare troppo per Sofia perché se non la si ferma in tempo la testa comincia a immaginare cose impossibili- sogni che si avverano, miracoli che accadono. E questo non va bene, perché la realtà ha un’alta probabilità di essere diversa, e non c’è niente di peggio di una speranza disillusa. Il cuore di chi ama però non riesce a non sperare. Proprio non è nella sua natura. Il cuore umano batte finchè c’è sangue e c’è sangue finchè c’è vita.
La vita è amore, se no qualcosa non torna.
Quando io e Guido abbiamo saputo delle cure compassionevoli a base di staminali che si somministravano a Brescia ci siamo buttati dentro questa storia senza pensarci troppo, come credo avrebbero fatto tutti i genitori che dopo la prima infusione avessero visto dei risultati concreti.
Ora Guido ed io ci sentiamo due carri armati che si muovono verso un unico obiettivo: la terapia compassionevole per Sofia, senza più interruzioni, per tutto il tempo necessario. E non ci fermeremo fintanto che non l’avremo ottenuta.
Io e tutti noi del BBMagazine siamo con voi Caterina in questa battaglia. Perdonami per la banalità di queste domande ma, intanto sono un’intervistatrice alle prime armi e poi penso che di profondo ci siete già voi e qualsiasi domanda a me possa venire in mente di farvi non sarà mai all’altezza del grande cuore e della vostra immensa forza! Ti abbraccio.
Cara Fabrizia le tue domande non sono state affatto banali. Penso sempre che la responsabilità di un’intervista sia tutta nelle mani dell’intervistato.
Lo penso anche quando le domande sono io a farle e gli autori rispondono poco e male... Ti sono grata e ti abbraccio forte. Ringrazia tutti gli amici di BBMagazine.
Fabrizia Morello
Mi chiamo Fabrizia. Sono in ordine una donna, una moglie, una mamma di due adorabili maschietti, rispettivamente di 10 e 8 anni e sono esattamente tutto quello che volevo essere. In aggiunta più per hobby che per lavoro, da due anni sono Capogruppo Yves Rocher perché mi sono accorta di amare alla follia tutto ciò che riguarda la cosmesi e la cura del corpo vegetale. Mi sono creata un team di lavoro straordinario che mi permette di guadagnare qual cosina per me e mi sento più completa. I figli cresceranno ed avere un piccolo mondo solo per me mi fa sentire bene e mi appaga. Adoro leggere e scrivere per cui quando il favoloso BBMag mi chiama io rispondo!!!
Se volete informazioni sul marchio, se vi interessa entrare nel mio team o se volete solamente conoscermi mi trovate su fb, su twitter e su Instagram.