La Storia di Elsa Morante

Mercoledì 24 Aprile 2013

Quando ci vuole, ci vuole. E per il 25 aprile ci vuole un libro così.

Tra un giallo e una chick lit, proprio accanto a quel bestseller appena uscito che ci è tanto piaciuto, campeggia sullo scaffale della biblioteca il romanzo italiano più amato degli anni settanta. Impossibile non notarlo: è un mattone di 650 pagine. Spaventa un po’, è inutile negarlo; tutto gioca a suo sfavore: tante pagine, quel titolo pretenzioso con la S maiuscola, il periodo storico studiato per l’esame di maturità. Non so voi, ma io non ho un bel ricordo di pomeriggi estivi passati a ripassare la Resistenza invece di andare al mare.

La Storia di Elsa Morante racconta gli anni più delicati della nostra storia: dal 1941 al 1947. Sette capitoli, uno per ogni anno, preceduto da uno schematico riassunto delle vicende della Grande Storia, che fanno da sottofondo alla storia. Nonostante la mole delle pagine, i protagonisti sono solo tre: Ida Ramundo e i suoi due figli: Nino, nato dal matrimonio con Alfio, di cui rimane vedova, e il piccolo Useppe, nato dalla violenza subita da un soldato tedesco.

E’ la guerra vista dal basso. Non ci sono giochi politici, non ci sono alleanze fatali, non ci sono traditori della patria. C’è la vita quotidiana di chi cerca di sopravvivere nella Guerra, sapendo bene quanto sia inutile farsi troppe domande. Ci accorgeremo subito che la Morante per l’occasione scende dal piedistallo: lascia il linguaggio ricercato de L’isola di Arturo e ne trova uno più semplice, che attinge largamente all’uso parlato, non disdegnando espressioni colorite e dialettali.

L’autrice ama i suoi personaggi: ha per loro il tono compassionevole e solidale di una madre. E non sono personaggi facili: sono persone che subiscono la guerra, che soffrono fino ad impazzire, che perdono i loro beni più preziosi, i loro affetti più cari.

In romanzi così, il bello è proprio questo: c’è tutto il tempo di affezionarsi ai personaggi, di conoscerli, di prevedere le loro mosse, di odiarli, di sognarli di notte.

Guarderemo dall’alto in basso Nino, questo adolescente sprezzante e tiranno, spavaldo e avventuriero, ma soffriremo quando la vita finirà col punirlo.

Combatteremo con Ida, mite e indifesa, quando troverà in sé tutto il coraggio e l’audacia di una madre che vuole far sopravvivere il suo bambino.

E ci innamoreremo di Useppe, del suo sorriso, del suo linguaggio, della sua voglia di vivere, della sua ingenuità. E finiremo con l’impazzire anche noi, assieme a sua madre.

E poi riconosceremo volti familiari nella famiglia dei “Mille”, chiassosi napoletani, nella ostetrica ebrea Ezechiele, nel giovane studente ebreo e anarchico Carlo Vivaldi.

Per tutti loro la Storia assomiglia d una piovra spietata. Abbiamo avuto nonne che ci hanno raccontato dei bombardamenti, che probabilmente hanno seguito le fila degli sfollati, la trepidazione per l’attesa della Liberazione, nonni e zii finiti in Africa o in URSS; abitiamo in città dove ci sono ancora le indicazioni sui muri dei rifugi della guerra, sappiamo bene che la Guerra non è finita il 25 aprile 1945: pezzi di puzzle che si ricompongono in questo straordinario affresco storico.

Ogni tanto, tra un giallo e una chick lit, ci vuole anche un romanzo che vada a fondo nel nostro passato, che scavi nella nostra identità di nazione, che ci faccia riflettere sulla nostra Storia. Il 25 aprile è una buona occasione. Non c’è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perché della loro morte. (da: un sopravvissuto di Hiroshima).

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Gabriella D'Ippolito

Mi chiamo Gabriella D'Ippolito. Bibliotecaria per passione e per professione. Sono mamma di tre bambini.

Nel tempo libero faccio la moglie, la manager per gli eventi mondani dei miei figli e la lettrice compulsiva. Vivo con la consapevolezza che, nonostante tutto, questi sono i miei anni migliori.